Confindustria Ceramica

augmented realitydi Thomas Foschini21   Settembre   2020

BIM, a cosa serve e come si fa

Confindustria Ceramica presenta il disciplinare, frutto di 18 mesi di lavoro con aziende, progettisti ed esperti

Un oggetto BIM (Building Information Modelling) è un gemello virtuale dell’oggetto fisico. Come quest’ultimo, anche il BIM ha una forma, una dimensione, una funzione. Non solo: proprio come nella realtà, l’architettura BIM esprime un comportamento nel tempo, e un’interazione con eventuali altri oggetti parte, a loro volta, della medesima architettura digitale.
In Europa, se ne parla già dal 2007. Come applicare in Italia, in particolare al mondo delle piastrelle ceramiche, il concetto di Building Information Modelling è stato l’oggetto di un gruppo di lavoro costituito da Confindustria Ceramica, cui hanno partecipato aziende associate, istituzioni scientifiche e di ricerca, progettisti ed esperti.
Risultato, un disciplinare di categoria, presentato lo scorso 28 maggio in occasione di un evento on line che ha visto come relatori i principali contributor dell’iniziativa – l’ing. Valerio Da Pos per la consulenza tecnica e Barbara Mazzanti del Centro Ceramico per la validazione teorico/pratica del modello – oltre a docenti universitari e progettisti (Alberto Pavan del Politecnico di Milano e Carlo Zanchetta dell’Università di Padova) che, da anni, studiano l’ambiente BIM a vari livelli, normativo e applicativo.

Gli oggetti BIM
Apparentemente, il BIM è un modello grafico. L’utente che si collega ad un portale aziendale o ad una public library di oggetti BIM può accedere a diversi livelli di informazioni, sulla base di un’architettura digitale che deve essere resa fruibile e scalabile nel tempo proprio a partire dalla standardizzazione dei protocolli di comunicazione digitale.
Quale standardizzazione, da questo punto di vista, è stata selezionata per l’industria ceramica? Il modello inglese – primo in Europa ad avere scommesso su questo ambito, anche sulla base di una specifica strategia del governo britannico – è stato di grande aiuto nell’impresa. Naturalmente, si tratta di un modello disegnato sulle caratteristiche, le esigenze e le specificità del mercato UK, che risponde solo in parte alle peculiarità, potenzialmente valorizzabili in ambiente BIM, della ceramica italiana.

Formati e linguaggi
In realtà, ci sono due modi ben distinti di costruire un’architettura digitale BIM. La prima, affidarsi a formati proprietari di progettazione industriale, il più noto dei quali è Revit (ma tra gli altri, con funzioni simili, figurano AECOSim, ALLplan, ArchiCAD, ARCHLine.XP, ecc). La seconda è avvalersi di formati “aperti” (open) non proprietari e normati, ed in particolare del formato IFC (Industry Foundation Classes) di buildingSMART, la community internazionale che promuove la creazione e lo sviluppo di metodi di lavoro digitali e aperti per lo sviluppo dell’ambiente costruito), al momento l’unica open platform operativamente adeguata per costruire questo tipo di oggetti.
Nel predisporre e proporre il “proprio” disciplinare, l’Associazione ha scelto la seconda strada, nell’ottica di garantire ai sistemi adeguata interoperabilità e durabilità nel tempo ed in coerenza con le previsioni del DM 560, 1° dicembre 2017, che impone l’obbligo di rendere disponibile il modello digitale in formato aperto.

Obbligo o opportunità?
Fuori dal linguaggio degli addetti ai lavori, gli oggetti BIM rappresentano, da un lato, un obbligo di legge nella realizzazione di progetti di architettura di un certo valore e complessità (attualmente, l’obbligo riguarda gli appalti pubblici di valore pari o superiore a 50 milioni ma la stessa legge prevede la possibilità di un adeguamento “volontario” anche per importi inferiori, con un progressivo abbassamento – fino all’annullamento – delle soglie da qui al 2025). Dall’altra parte, tali oggetti digitali possono rappresentare un valore aggiunto decisivo nella produzione, promozione e commercializzazione di prodotti di qualità.
Arrivata sul tema con relativo ritardo, l’Italia contava nel 2015 una trentina di appalti pubblici in edilizia che, già in fase progettuale, richiedevano la modellazione BIM. Più che raddoppiati ogni anno, per arrivare – anche sulla base delle previsioni del DM 560 del 1° dicembre 2017 – alle attuali 500 unità. Eppure, ancora oggi, solo un appalto su cinque contiene capitolati informativi specifici sui particolari requisiti richiesti all’oggetto BIM. Mentre diminuisce progressivamente (anche su base volontaria) l’importo dei capitolati per i quali la modellazione digitale è comunque richiesta.
Oggetti solo “formalmente” BIM, infatti, potrebbero rivelarsi nella pratica molto poveri di informazioni, quindi potenzialmente di scarsa qualità. Ecco perché, spiegano gli esperti, è stretto interesse di ogni categoria produttiva dotarsi di regole e disciplinari specifici che possano valorizzare le caratteristiche ed eccellenze dei prodotti.

Il contenuto informativo

Che tipo di informazioni deve contenere un oggetto BIM? Il principale riferimento per l’Italia è la norma UNI 11337:2009-2020, Gestione digitale dei processi informativi delle costruzioni. Anzitutto, un oggetto BIM deve presentare una struttura condivisa, accessibile. Chi cerca l’informazione (lo studio di architettura, il tecnico progettista, ma anche il designer di interni, il manutentore, il cliente finale) deve sapere cosa cercare e dove trovarlo.
Criteri di scelta e specificazione prodotti che, in linguaggio BIM, vengono definiti property set. Tra questi, il nome del prodotto, la sua funzione, dimensione. Ma anche le proprietà dell’oggetto – estremamente “valorizzate”, in questa fase, sia dalle norme sia dal mercato – dal punto di vista tecnico e di altri aspetti fondamentali come la sostenibilità ambientale. Quindi il manuale d’installazione in cantiere, le modalità di manutenzione durante l’intero ciclo di vita, e così via.
L’idea del gruppo di lavoro di Confindustria Ceramica – superata la principale criticità data dall’assenza di un preciso standard internazionale per le piastrelle di ceramica su come tali oggetti debbano essere costruiti e classificati in ambiente BIM – è stata quella di realizzare il disciplinare a partire, da un lato, dal linguaggio IFC (in particolare la versione 4.0 add. 2). Dall’altro, sfruttando l’esperienza inglese di NBS, realizzando una corrispondenza il più fedele possibile tra i property set individuati, le specificità reali dell’oggetto piastrella, le normative in vigore, nazionali ed internazionali.
Con un’ambizione in più, rendere tale modello dinamico e fruibile nel tempo, sulla base delle mutevoli esigenze degli utenti e, soprattutto, delle sempre nuove “qualità-prodotto” che possono distinguere la piastrella italiana nel mondo.

Dove trovarli
Nel caso di aziende manifatturiere ceramiche, gli oggetti BIM possono essere resi disponibili direttamente sul sito del produttore. Ma, anche, su portali istituzionali (in Italia BIMRel pubblica e gestisce schede prodotti conformi alla UNI 11337; per il Regno Unito, la realtà più evoluta in Europa da questo punto di vista, il portale di riferimento è la NBS, National BIM Library). Anche siti commerciali vari (dai più generalisti a portali specializzati) possono contenere oggetti BIM e metterli a disposizione dei propri utenti.
Evidente è il ruolo chiave dell’associazione di categoria nell’offrire uno schema informativo digitale del prodotto, con l’obiettivo di agevolare le aziende del settore nello sviluppo e promozione di oggetti BIM sui propri canali.

Il disciplinare
Quattro le caratteristiche del modello proposto: lo scrupoloso rispetto degli standard normativi nazionali e internazionali (con la possibilità di integrare nuove norme nel tempo); flessibilità e adattività alle esigenze della singola azienda e/o dell’utente; interoperabilità e facilità applicativa (standard IFC); ultimo, non per importanza, un modello che si vuole “identificativo” e non “omologante” rispetto al settore.
Nella pratica, i livelli di sviluppo definiti dal gruppo di lavoro dell’Associazione si sono tradotti nella pubblicazione di un template specifico che, oltre alle schede (property set) richieste dall’impostazione IFC, contiene tre ulteriori fogli di lavoro, DoPAndProductCertification, EnvironmentalSustainability, OtherTechnicalFeatures.
In questo modo il produttore ha la possibilità di valorizzare proprietà specifiche del prodotto, non riassumibili da altre categorie. Del modello proposto una menzione particolare merita il COBIE, in pratica un subset di informazioni utili per il facility management (l’uso e manutenzione nel tempo), un campo opzionale ma obbligatorio nel Regno Unito ed in tutti i Paesi del Commonwealth (più gli Stati Uniti), quindi da considerare in ottica export verso questi Paesi.
Una parte non secondaria degli sforzi del gruppo di lavoro è stata indirizzata a una definizione puntuale dei diversi “livelli di obbligatorietà”. Solo alcuni property set IFC devono essere giocoforza compilati, se si vuole proporre l’immagine digitale di prodotto in chiave BIM. Il resto – tutto il resto – rappresenta un’opportunità che è l’azienda stessa a scegliere se, come ed a quale livello di dettaglio valorizzare, sulla base di un approccio modulare, scalabile e adattabile nel tempo.

“Famiglie prodotto” e target di utenza

Tipicamente molto ampi, i cataloghi prodotto delle aziende ceramiche possono essere trasformati in oggetti BIM, compilando il template già rilasciato che gli associati possono scaricare – insieme al relativo disciplinare – accedendo all’area riservata sul sito di Confindustria Ceramica. Noti scenari di mercato ed esempi pratici sviluppati in collaborazione con alcune aziende associate aiutano a comprendere meglio la gamma di opportunità a disposizione.
In generale – come emerso dal gruppo di lavoro, ed in particolare dai progettisti sentiti in fase di elaborazione del modello – se fino a poco tempo fa la promozione del prodotto piastrella si basava essenzialmente sulla pubblicità delle sue caratteristiche prestazionali ed estetiche, ora il mercato richiede di valorizzare, anzitutto, la sostenibilità ambientale, richiesta come pre-requisito dalla maggior parte dei capitolati di gara. Ma sono molteplici le ulteriori caratteristiche tecniche integrabili nel modello, utili per qualificare il prodotto rispetto ai competitor.
Rispetto al property set standard IFC, con il “modello Confindustria” è dunque possibile integrare righe apposite (si pensi ad una piastrella antiscivolo, con proprietà antibatteriche, realizzata con materiali riciclati), nonché integrare in un singolo foglio di sintesi tutte le certificazioni ambientali e di processo (informazioni che l’azienda già possiede e pubblica, di solito, sui propri portali).
Realizzato anche in funzione commerciale (il team di lavoro ha incluso da subito figure esperte di marketing), il modello proposto si pone nell’ottica sia del produttore sia dell’utente, rispondendo a tre esigenze ben determinate. Primo, limitare gli oneri di compilazione del template, consentendo di ragionare anche per famiglie o categorie prodotto. Secondo aspetto, valorizzare quelle caratteristiche del prodotto piastrella – ed in particolare della piastrella italiana – che la possono rendere preferibile, in edilizia, rispetto a materiali “concorrenti”. Terzo, in ottica utente, costruire un prodotto agile, scalabile, che consenta di reperire rapidamente l’informazione che serve, quando serve.
Ad esempio, in un contesto di “appalti verdi”, la disponibilità di oggetti BIM così strutturati agevola enormemente il lavoro del progettista, che va a selezionare già in fase preliminare i materiali più idonei ai requisiti richiesti dai capitolati di gara (dalla dichiarazione ambientale di prodotto alla conformità CAM, dalla quantità di materie prime provenienti da riciclo all’assenza di amianto, solo per fare alcuni esempi). La scheda-modello risponde infatti a tali domande in modo semplice e immediato, senza costringere il progettista a reperire e leggere le schede tecniche di dettaglio che certificano questa o quella caratteristica.
Da sottolineare, ancora una volta, come nella maggior parte dei casi si tratti di informazioni già a disposizione dell’azienda. I diversi indicatori di impatto ambientale (ciclo di vita, consumo di acqua ed energia per unità di prodotto, ecc) sono ad esempio già disponibili con riferimento alle EPD (Environmental Product Declaration) di settore. In caso contrario, alcune variabili specifiche possono essere valorizzate in modo semplice (criterio sì-no), ed è questo il caso, sempre per restare agli esempi pratici, dell’assenza di amianto o formaldeide o di emissioni zero di VOC (composti organici volatili).

Il futuro
Presentato alla sottocommissione UNI che sta lavorando sulla materia, il modello sarà evoluto nel tempo anche sulla base dei riscontri delle aziende associate e del mercato, mentre è in corso la definizione di un analogo disciplinare per il settore dei laterizi.
Tra le particolari sfide per il mercato Italia, poi, vi è la riqualificazione dell’esistente. Un tema già al centro del progetto e-BIM, cofinanziato dal Programma operativo regionale FESR, che vede tra i partner il Centro Ceramico di Bologna. Un tema enorme – il restauro, l’efficientamento energetico e antisismico del costruito e in particolare degli edifici storici – che si potrebbe tradurre, calato in ambiente BIM, in una ulteriore opportunità di sviluppo per la ceramica italiana di qualità.

 



BIM, tra nuova frontiera e “terra di nessuno”.

Dal punto di vista dei linguaggi BIM, le piastrelle non esistono. In particolare, lo standard IFC (Industry Foundation Classes), l’unico formato aperto disponibile sul mercato per descrivere questo tipo di oggetti, comprende le piastrelle all’interno di una categoria più generale, di cui fa parte ogni sorta di materiale da rivestimento. 
“The covering is used to represent a flooring”, per fare un esempio, la piastrella viene cioè ad esistere (informaticamente parlando) se la si mette in relazione ad un altro oggetto (un muro, un solaio, un vano).
E questo è solo il primo problema che l’Associazione ha cercato di affrontare incaricando il gruppo di lavoro di elaborare e produrre un primo disciplinare BIM che risponda davvero (integrando lo standard IFC) alle specificità dell’oggetto reale. Schede di performance, schede di sostenibilità, schede di gestione operativa sono le tre famiglie di property set che vanno a comporre l’oggetto BIM, in pratica un foglio excel che può essere dato in pasto a differenti tipi di software (authoring tool).
Variabili geometriche, da un lato, parametri alfanumerici, dall’altro, sono intrinsecamente integrati nel modello che, sin dalle sue prime elaborazioni, soffre di due insiemi di criticità, le une legate alla scarsa o nulla standardizzazione dei linguaggi, le altre connesse a una committenza che non sempre ha le competenze necessarie per riconoscere e gestire gli oggetti BIM, pur richiedendoli come obbligatori nei capitolati di gara.
Per affrontare l’argomento occorre fare un passo indietro, ponendosi due ordini di domande. Quali norme nazionali ed internazionali regolano l’utilizzo del BIM? Perché investire tempo e risorse sulla standardizzazione informativa di questi oggetti?
Nel mondo, il Building Information Modelling è normato dalla UNI EN ISO 19650 – recepita, per l’Italia, dalla norma tecnica UNI 11337 – che descrive i concetti ed i principi per la gestione delle informazioni BIM secondo un approccio che include, in premessa, i concetti di interoperabilità, scambio e aggiornamento delle informazioni da parte di tutti gli stakeholder (produttore, progettista, stazione appaltante, utente finale, ecc). Applicabile all’intero ciclo di vita di un immobile (e delle sue singole componenti), si tratta di una norma molto generale, che descrive come deve essere composto l’oggetto digitale integrando informazioni geometriche e alfanumeriche.
Un secondo aspetto, non meno rilevante, fa strettamente riferimento ai linguaggi utilizzati ed all’interoperabilità dei sistemi. La progressiva diffusione dei linguaggi “proprietari” per la costruzione di questo tipo di oggetti rischia infatti di tradire la ratio stessa del Building Information Modelling: consentire a tutti i soggetti di partecipare, anche nel tempo, alla costruzione ed alla gestione dell’oggetto BIM.
Due gli ordini di vantaggi che derivano dalla standardizzazione informativa. Il primo, è ridurre gli extra-costi dovuti alla scarsa o nulla interoperabilità dei sistemi (valutati in edilizia, su scala globale, a 4,39 dollari all’anno per ogni metro quadro). Il secondo è rendere questi strumenti (a prescindere dall’aspetto normativo) realmente utili per valorizzare il prodotto di qualità, intesa sia come qualità prestazionale sia come qualità ambientale.
Le “schede accessorie” previste dal disciplinare di settore, rispondono proprio all’esigenza dei progettisti offrendo un servizio che consente al produttore di ceramica italiana di distinguersi dai competitor e da materiali concorrenti. Addirittura, il governo britannico stima incrementi settoriali potenzialmente straordinari di attrattività e vendite, grazie all’adozione su larga scala della modellazione BIM, quantificati nell’ordine del 50%.
Qualificare ed estendere il modello nel tempo non è un’opzione, ma una necessità, da valutarsi sulla base dei riscontri dell’utenza e di eventuali nuovi caratteri “qualificanti” del prodotto stesso, In questo senso, il modello mette a disposizione delle aziende una serie di “linee guida” che possono essere adeguate ed evolute integrando specifici valori o intere nuove property set (schede) sulla base delle future esigenze. Quindi – restando alla logica di servizio – riservando alcune schede al progettista, che sarà in tal modo ulteriormente agevolato nella ricerca delle informazioni e nell’integrazione del BIM “piastrella” all’interno del progetto più ampio di un edificio.
Per coprire l’intero mercato dei BIM e rispondere alle peculiarità del settore tiles, il disciplinare propone come best practice la creazione di un “pacchetto qualità” di questi oggetti. L’idea di fondo è quella di intercettare la molteplicità degli utenti, non solo tecnici progettisti ma anche designer, manutentori, clienti finali. Per questo, il “pacchetto BIM” contiene sia materiali scaricabili in formato xls, manualistica varia, ma anche schede (mappe) dei materiali che identificano la texture dell’oggetto. Materiale esportabile in formato aperto, ovviamente, ma anche in formato proprietario, a partire dal .rvt (Revit) per agevolare questa importante quota di utenza.
Caratteristiche prestazionali ed estetiche, sostenibilità dal punto di vista del prodotto e del processo, si intersecano in questo modo a uno straordinario livello di semplicità e, allo stesso tempo, di dettaglio. Tutte le schede sono sempre composte da un nome che identifica il prodotto, una breve descrizione, un set di valori coerenti con lo standard IFC. Quindi le property set accessorie, che richiamano l’attenzione in modo particolare sulle evoluzioni del mercato in ottica edilizia 4.0 (performance, application, finishes, durability, aesthetic, materials).
Trasparenza, completezza, disponibilità del dato diventano così tre parole chiave che qualificano il mercato e, all’interno di questo, le specificità del singolo produttore.